Dialetti

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Itikar
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Re: Dialetti

Postby Itikar » 2013-11-20, 17:31

hāozigǎnr wrote:Bel lavoro, Itikar. Potresti pubblicizzare la tua ottima tastiera nella discussione

E sia. Però guarda che lo feci già. :P
E tu mi rispondesti pure dicendo che secondo te avevo fatto bene ad abbandonare la miserrima tastiera italiana!

Anch'io uso quella tastiera per l'IPA, la versione americana in particolare, anche se a volte mi sembra poco intuitiva.

@HorribleVisu: Non m'immaginavo che bischero fosse usato anche in una simile accezione. Come al solito complimenti per il tuo interessante intervento. :)
Fletto i muscoli e sono nel vuoto!
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Massimiliano B
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Re: Dialetti

Postby Massimiliano B » 2013-11-20, 23:42

HorribileVisu wrote:
hāozigǎnr wrote:Ho avuto degli equivoci con un'amica fiorentina, perché la chiamavo bischera senza saperne il significato. Pensavo che significasse "ragazza" perché l'associavo al romano pischella...
Potemo consideralli farzi amichi?

Me sa che nun so' pe' gnente amichi, ma po' capita' ch'a e pischelle je piaciono i bischeri. Prova a vede ne l'urtima parte de 'sto messagio .

A parte il significato universalmente conosciuto di "stupido" (ma vedi più avanti), il significato originario che a Firenze si attribuisce a bischero è "legnetto per accordare gli strumenti", o, più propriamente, in accordo con la prima definizione che ne dà il Devoto-Oli, "ciascuno dei cavicchi che servono a tirare o allentare le corde degli strumenti a seconda che si girino in un senso o nell'altro".
In parole povere un bischero è per esempio uno di quei cilindretti, di legno o metallo, imperniati all'estremità del manico della chitarra ruotando i quali si regola la tensione delle corde. Questa definizione viene sostanzialmente confermata da questo dizionario etimologico in linea, il migliore che sono riuscito a trovare:

<Dizionario etimologico: bischero>

Sicuramente alcuni tra i fiorentini più anziani ne avvertono tuttora questo significato primario. Per esempio una volta mi successe che un mio conoscente, al quale avevo chiesto chiarimenti su una descrizione che mi andava facendo di certi organi meccanici, mi rispose: "Mi riferivo a quei bischeri (in questo caso cilindretti metallici) che vedi spuntare da lì sotto".

La cosa curiosa però è che se vado a cercare questa parola sul "Dizionario etimologico" del Devoto (che possiedo in versione cartacea), trovo: "bischero, diminutivo di bisca nel senso di 'tavolo da gioco'". Parrebbe a prima vista che quando il Devoto lavora senza l'Oli pervenga a risultati diversi da quelli che ottiene quando collabora con quest'ultimo. Ma non è così: se si seguita con la lettura del dizionario Devoto-Oli fino ad arrivare alla quarta definizione di "bischero" si trova: "Diminutivo di bisca nel senso di 'tavolo da gioco' con riferimento ai cavicchi segnapunti di cui esso era verosimilmente fornito". Per inciso, il secondo e terzo significato sono, rispettivamente, "grullo" e "pene".

Comunque questa parola è una delle poche sopravvissute alla morte ormai pressoché definitiva del vernacolo, o dialetto che dir si voglia. Dare a qualcuno del bischero non significa, naturalmente, dirgli "sei un legnetto per accordare gli strumenti". Il senso, immeditamente avvertibile nella parola stessa, è: "sei una cosa piccola e stupida come un legnetto tondo, un piolino". Ma, è questo il punto, ci si riferisce indirettamente a un legnetto come quello con cui si accordano gli strumenti. Perché? Se ci fate caso, noterete che le parti nobili di chitarre, violini, pianoforti e altri strumenti di questo genere sono le corde e, soprattutto, la cassa. Su corde e cassa si disserta, si teorizza e si progetta. Ma dei bischeri chi ne parla mai?

A Firenze bischero viene usato in tutte le possibili gradazioni. Si va dall'offensivo bischeraccio (stupido e idiota), al compassionevole bischeruccio (sfortunato, senza arte né parte), all'affettuoso e compassionevole bischerello (fragile, ingenuo, indifeso), al bonario e amichevole "dai non far il bischero!" (dai non fare lo sciocco/stupido) fino ad arrivare in certi casi al significato di simpatico.

Una mia compagna di liceo usava dire di qualcuno che le piaceva (mettiamo che si chiamasse, pensa un po', "Rossi"): "Ma quant'è bischero il Rossi!" con ciò intendendo "Ma com'è simpatico il Rossi!". Il che faceva ben sperare perché era pure carina. Se mi venisse chiesto di Celentano, il più grande interprete di musica leggera, e non solo di questa, del secolo scorso (e a quel che so anche di questo, uno che avremo da aspettare millant'anni prima d'avercene un altro così), potrei rispondere: "Celentano? Ah, quel gran bischero di Celentano!" senza che tra il mio dire e quanto ha egli stesso detto di sé vi sia la benché minima differenza:

<Adriano Celentano - Sono un simpatico>

@ 01:12
«Pilade... ... ... ... ... ... ... ... ... ... Pilade?»
«Eh?!»
«Mi senti?»
«No... ma... ... ... però ti vedo»
«AhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAhAh»

Per astra ad aspera :D
HorribileVisu

-


Io penso invece che il significato originario del termine "bischero/biscaro" sia quello di "stupido". Probabilmente poi si è passati ad impiegare tale termine per indicare il membro virile (seguendo una logica inversa a quella che porta a usare termini riferentisi al membro virile per indicare caratteristiche quali la stupidità) e, successivamente, tutto ciò che ha la forma di un membro, come i bischeri degli strumenti musicali. Anch'io stesso, parlando in lucchese volgare, posso usare la parola "biscaro" per riferirmi a tutto ciò che ha forma allungata. Si veda qui:

http://www.accademiadellacrusca.it/en/i ... a-bischero

Si noti il titolo dell'articolo a cui si fa riferimento nella pagina riportata:

Bischero: un caso apparentemente risolto. :lol:

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Re: Dialetti

Postby HorribileVisu » 2013-11-27, 1:24

Massimiliano B wrote:Io penso invece che il significato originario del termine "bischero/biscaro" sia quello di "stupido". Probabilmente poi si è passati ad impiegare tale termine per indicare il membro virile (seguendo una logica inversa a quella che porta a usare termini riferentisi al membro virile per indicare caratteristiche quali la stupidità) e, successivamente, tutto ciò che ha la forma di un membro, come i bischeri degli strumenti musicali. Anch'io stesso, parlando in lucchese volgare, posso usare la parola "biscaro" per riferirmi a tutto ciò che ha forma allungata. Si veda qui:

http://www.accademiadellacrusca.it/en/i ... a-bischero

Si noti il titolo dell'articolo a cui si fa riferimento nella pagina riportata:

Bischero: un caso apparentemente risolto. :lol:

Mi viene in mente che a Firenze si usa(va) molto anche "bischetto", che non è un neologismo o una forma ingentilita di "bischero", anche se coloro che l'usavano davano giusto l'impressione di voler attenuare l'impatto sull'interlocutore del "bischero" o del "bischeraccio" che stava per uscir loro di bocca. Infatti certe volte partivano con "bische..." ma poi s'interrompevano per un attimo e terminavano con "...ttaccio". L'accento era normalmente sulla "e", ma in certe occasioni la parola veniva pronunciata rapidamente e con l'accento tirato indietro sulla "i", in modo da ottenere un effetto più sferzante, un colpetto di frusta.

Quella parola ha però una sua propria identità. Sul Devoto-Oli si trova: "bischetto, il tavolino da lavoro, basso e piccolo, del ciabattino e del calzolaio (incrocio di bisca e deschetto)". Tale versione è confermata dal solito dizionario etimologico in linea:

http://www.etimo.it/?term=bischetto&find=Cerca

Quindi anche "bischetto", come "bischero", avrebbe a che fare con un tavolo da gioco e di conseguenza coi cavicchi segnapunti.

L'articolo dell'Accademia della Crusca conferma l'ipotesi classica dell'origine di "bischero" dal nome di un oggetto di forma fallica e del punto di arrivo della trafila semantica su "stupido". A sua volta l'articolo di Nocentini, che sembrerebbe ridefinire la radice originaria da bisk a pipa, si colloca all'interno dello stesso filone interpretativo, che poi è quello che a me sembra il più plausibile seppure con una riserva. La riserva è che, a mio avviso, quando una parola che è anche il nome di un oggetto di forma cilindrica si fa strada nel linguaggio comune per alludere al membro virile, il significato aggiuntivo di "stupido" si rende immediatamente associabile a quella parola. Se, nel tempo, la parola subisce trasformazioni, tale significato gli resta appiccicato addosso. Quindi, secondo me, i punti temporali di partenza e di arrivo coincidono indipendentemente dalla lunghezza della trafila semantica. Di questo si hanno esempi a bizzeffe nel linguaggio quotidiano, quello sboccato, toscano e non. Cito, valendomi di un esempio il meno volgare possibile, la leguminosa Vicia Faba, la pianta che produce i baccelli, qui conosciuti anche come fave, dalla forma inconfondibile. Le due espressioni basate su questa leguminosa sono localmente intercambiabili con le corrispondenti basate su "bischero": "Sei una fava" (sei un bischero), "Non dire favate" (non dire bischerate). A Firenze ci si serve del termine anche per riferirsi direttamente al membro virile. Quelle due espressioni sono, come ho detto, intercambiabili, ma quella con "fava" è sicuramente più offensiva. E' anche molto allusiva, tanto che la parola "fave" non la sento mai pronunciare quando c'è da comprarle o offrirle: in tal caso si parla esclusivamente di baccelli.

A mio avviso la trafila inversa:

(1) Wiscard (= di forte saggezza) -> (2) Biscardi -> (3) Bischeri -> (4) bischero -> (5) stupido -> (6) oggetto cilindrico -> (7) pene

è possibile solo da (1) a (2) o al massimo a (3), ma i passaggi seguenti mi sembrano molto difficili da sostenere, soprattutto dal (5) al (7), mentre la sequenza da (7) a (5), anche saltando il valore intermedio (6), è immediatamente verificabile nel linguaggio quotidiano.

Ho comunque qualche dubbio che questo mistero bischero sia stato definitivamente risolto :D

HorribileVisu

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Re: Dialetti

Postby Massimiliano B » 2013-11-27, 20:20

Ho messo quel collegamento a una pagina della Crusca non perché esso suggerisca che il significato originario di "bischero" è quello di "stupido", ma perché non dice che il significato sia quello di "legnetto che serve ad accordare strumenti a corda pizzicata o sfregata".
Comunque, sinceramente non saprei dire con esattezza quale sia l'origine di questo termine! Rischio di dire bischerate (o "biscarate", alla lucchese)!

IpseDixit

Re: Dialetti

Postby IpseDixit » 2013-11-27, 20:28

Io sapevo che viene dal nome di una famiglia fiorentina. I Bischeri.

Essi avevano casa in Piazza del Duomo, prima che il Duomo venisse costruito. Il comune di Firenze diede degli indennizzi a tutti gli abitanti delle case che dovevano essere demolite per far spazio alla chiesa, ma i Bischeri si ostinavano a voler rimanere. Quindi il comune alzava sempre più il prezzo dell'indennizzo che avrebbe pagato alla famiglia, per convincerla a traslocare. I Bischeri quindi se ne approfittarono, pensando che più avessero tirato la corda, più si sarebbero arricchiti. Il comune però ne ebbe abbastanza, e una notte mandarono qualcuno di soppiatto a incendiare la casa dei Bischeri e così non dovettero neanche pagare nulla alla famiglia.

Da qui bischero = imbecille.

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Re: Dialetti

Postby HorribileVisu » 2013-12-12, 11:53

"Bischero" è una di quelle parole che possiedono la curiosa proprietà di farvi credere di poterne afferrare direttamente il significato originario. E' un po' come se quel significato fosse lì, a un millimetro, tanto che vi verrebbe quasi da dire "ce l'ho sulla punta della lingua". Ma poi, come quando si cerca una vite tra le cianfrusaglie di un ripostiglio, questo significato non esce fuori: si entra speranzosamente nel nostro ripostiglio mentale delle parole e si comincia a soppesare, via via più ansiosamente, tutte le viti che ci capitano sotto mano. Una è corta, una è lunga, una è grossa, una è sottile, una ha il passo in pollici invece che in millimetri, una sarebbe forse potuta andare ma è rugginosa. Alla fine non si trova nulla e si esce dal ripostiglio con un'espressione un po' così, cioè con una faccia un po' a bischero.

Eppure, nonostante le infruttuose ricerche iniziali, ho sempre continuato a pensare che il metodo dell'associazione diretta, o corrispondenza diretta, fosse quello giusto. Mi serviva solo un ponte di Einstein-Rosen, come quello di Contact, che mi portasse immediatamente a destinazione facendomi saltare le lunghe trafile semantiche. E siccome ad un linguista della domenica come me bastava un ponticino fatto in casa, me ne sono costruito uno a mio uso e consumo. E' molto economico perché si compone di soli tre pezzi: un'attribuzione arbitraria di significato, un'impressione e un'analogia. Alla fine sono giunto alla conclusione che Nocentini ha ragione [1]. Certo però che l'articolo di Nocentini sarebbe meglio leggerselo, e tra l'altro sulla rete ci sono tutte le coordinate per procurarselo. Nocentini insegna a Firenze e sarebbe perciò possibile non solo contattare la facoltà di per chiedere dell'articolo, ma anche parlare direttamente con lui. Comunque al momento, non avendo tempo, mi sono divertito a scrivere quanto segue, dove la probabilità che troviate delle bischerate è molto alta. Qualche bischerata spero tuttavia che mi venga concessa, se non altro come omaggio alla misteriosa e vetusta parola.


Attribuzione di significato arbitraria

Il primo passo è consistito nel convincermi che "bischero", in origine, non poteva significare altro che "pene" e di conseguenza ho deciso, arbitrariamente, di attribuirgli senz'altro questo significato.

C'è un'espressione, usatissima a Firenze, che avevo dimenticato e che mi è ritornata alla mente grazie ad un documento proveniente dalla lucchesìa [3], che ho trovato durante una delle mie peregrinazioni nella rete [2]. Nel documento a un certo punto si legge "o'n'duve vai a'bbiscaro sciorto?". A dire il vero, le interpretazioni che di questa espressione, comunissima anche a Firenze ("o'ndo'ttu vvai a bbischero sciolto?"), si danno in quel documento sono interpretazioni tradizionali e non v'è menzione dell'associazione suddetta a "pene". So bene che il significato più conosciuto è l'educato "fare una cosa in modo trasandato" (o non sensato, ponderato, ordinato, illogico); fatto sta però che il senso che un buon numero di fiorentini ci avverte (ho fatto una piccola inchiesta) è (indirettamente!): "dove te ne vai, così, in giro, senza le mutande?". La cosa funziona bene perché quel modo di andarsene in giro è effettivamente un po' trasandato. E' per questo che vi compare l'aggettivo "sciolto". "Sciolto" significa proprio "sciolto", letteralmente, cioè non legato, non vincolato, non trattenuto in una ben determinata posizione a causa della deplorevole mancanza di mutande, o di qualsivoglia altro indumento che possa tenerlo fermo. Insomma, "a bischero sciolto" è del tutto simile ad espressioni come "a buco ritto", "a babbo morto", "a collo torto", "a tutta randa", "a bocca aperta", "a piè fermo", "a mani giunte" e chi più ne ha più ne metta. E qui, tra l'altro, forse Nocentini avrebbe forse fatto bene a considerare con più attenzione la radice *bisc-/*pisk- "dondolare, girare, muoversi" (Accademia della Crusca). Ma sto scherzando, non credo, come avevo detto, che Nocentini abbia sbagliato.


Impressione

Una volta accettato che il significato originario di "bischero" è "pene" si trattava di trovare la parola giusta portatrice di tale significato, la quale non è "pene". Ma prima di passare a questo mi son chiesto quale valore avesse la parte finale "chero" della parola. Sulla rete non ho trovato nulla, né tentativi di etimologia nè ipotesi sul valore semantico del lessema. L'impressione che ho, per quanto, come fiorentino, potrei chiamarla certezza, è che "chero" svolga la stessa funzione del suffisso dei diminutivi/accrescitivi/vezzeggiativi/dispregiativi [4]. In altre parole "chero" è un suffisso (o forse un infisso + suffisso) dispregiativo non molto flessibile ma espressivamente molto efficace che ha trovato posto in una vera e propria famiglia di parole. In certi casi il suffisso è semplicemente "ero", come in "becero" e nel termine dialettale fiorentino "cogliombero", dove oltre al suffisso "ero" è presente un diverso tipo d'infisso e il cui significato è "coglione" o "stupido coglione". Ma ci sono anche "tanghero" e "canchero" e, dulcis in fundo, "pinzochera", una che vi pinza, cioè vi punge, con la sua bigotteria. Questo termine veniva usato da mio nonno, che curiosamente, però, lo intendeva come "zitella" e lo usava comunemente senza nessun intento dispregiativo. In realtà il termine significa solo, appunto, "bacchettona" ed è (ahimè, era) raramente usato anche al maschile.

Sempre sul tema, mi sono ricordato di un episodio di tanti anni fa. C'era un ragazzo grosso e robusto che stava venendo punzecchiato da uno mingherlino. Dopo un po' il ragazzo grosso perse la pazienza e, rivolte al mingherlino frasi minacciose, terminò così: "...ci siamo capiti, nàcchero?". Forse il termine giusto era "nachero", ma è noto che noi non amiamo le consonanti singole e se possiamo le raddoppiamo o le aspiriamo. Il ragazzone intendeva dire "......ci siamo capiti, piccolo storpio?". Quello che è molto interessante è che la radice secondo alcuni viene dal diminutivo "anaticula"/"anatula" di "anas", latino per anatra, quindi: anatula -> natla -> nacra -> nachera (con epentesi di "e"). E, a dire il vero, a me torna benissimo che nac(c)hero significhi "anatroccolo", cioè uno di piccola statura che cammina goffamente.


Analogia

Per l'ultimo passaggio, quello della scelta della radice da innestare su "chero", mi è venuto in soccorso un altro ricordo, che io considero fondamentale. Una volta un mio amico mi disse: "ma sei cìschero?". Io, pensando che fosse una variante di bischero, protestai. Ma mi sentii rispondere: "Che hai capito? Volevo dire: ci vedi bene?". Preso atto di questo e consultato un dizionario etimologico devo dire che la derivazione di "cischero" da "cispa" mi parve immediatamente splendere di luce propria. Oltretutto qui si usa anche dire, in senso figurato, "levati la cispa", "togliti le cispe", "chj'hai le cispe?", tantoché, sempre parlando di uno che ha le cispe, ci si potrebbe divertire a costruire una breve sequenza fittizia come la seguente: cispischero -> cispichero -> cischero o anche cispachero -> cischero

E' possibile costruire, per analogia, una sequenza simile per bischero? Secondo me sì. Le parole possibili sono due: "cinci" e "pipi". La prima è da scartare sia perché usata anche in frasi permeate da spirito bonario e/o ironico sia perché mi par difficile trasformare "cinci" in "bis". La seconda compare sempre in frasi animate da disprezzo, derisione o sentimenti simili che notoriamente provocano l'irruzione nel discorso di termini attinenti al membro virile in un numero di accezioni e sfumature pressoché illimitato. A mio parere, ad esempio, non è vero, come sostiene l'Accademia della Crusca, che "pipi" è usabile parlando a un bambino, per lo meno non qui a Firenze. In quel caso il termine più comune è "lilli". Ma non me la sento di far esempi sull'uso effettivo di "pipi" in questa sede. La sequenza che definisce la corrispondenza potrebbe dunque essere tipo questa: pipischero -> pischero -> bischero

-

Aggiungo, come nota finale, che il significato del Devoto-Oli è certamente un significato derivato che probabilmente gli autori hanno voluto adottare per andare sul sicuro. Quanto a "stupido", volendo semplificare un po', per me si tratta di un significato accessorio inseparabilmente connesso a molti di questi termini così come la luce è inseparabile dal calore.

http://www.cantinetoscane.com/2013/03/0 ... onosciuto/

HorribileVisu

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[1] - Ecco l'articolo dell'Accademia della Crusca presentatoci da Massimiliano B
http://www.accademiadellacrusca.it/en/i ... a-bischero

[2] - Le peregrinazioni erano dovute al fatto che stavo cercando di sviluppare il tema Wiscard -> Viscardus -> Biscari/Bischeri, di cui hanno parlato Massiliano B e IpseDixit. Al riguardo c'è qui un dizionario etimologico dei cognomi:
http://cognomiitaliani.org/cognomi/cognomi0002il.htm

[3] - Il documento è il seguente:
http://www.amicidelleseimiglia.it/vernacolo.htm
Trovo molto apprezzabile tutto quanto è stato scritto là, a partire dalla seguente dichiarazione d'intenti, che condivido al 1000%:
«Vorrebbimo parlà’ccome parlavin vell’artri che en viensuti prima di noartri, perché a’qquella maniera potrebbimo preparà vell’affare in duve si pole trovà'lle parole che dicevin loro, e dille anco noartri in modo che'cci possin dì “.........ma, velli lì, che lingua parlin, en forescti?”, mentr’invece un è che siam forescti noartri, enno forescti vell’artri che un parlin come noartri.»
Tra le altre cose, vi si trovano anche numerosi esempi che illustrano le soluzioni adottate per i difficili raggruppamenti di questo tipo: «tutt'ir giorn'a'rrintanassi» con continua elisione della vocale finale e raddoppiamento della consonante iniziale. Noto con soddisfazione che la soluzione è sostanzialmente uguale a quella che qualche volta ho usato io (in fiorentino sarebbe "tutt'i'ggiorn'a rrintanassi"), ma ci sono in più altre particolarità tra le quali infiniti tronchi che presentano l'ultima vocale sia accentata che apostrofata. Queste soluzioni potrebbero essere attentamente valutate e poi direttamente usate caso mai ci pigliasse la voglia di far rivivere il morto e sepolto Vernacoliere fiorentino (come dilla!).

[4] - Fanno eccezione bighero, bucchero e zucchero

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~jakip
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Re: Dialetti

Postby ~jakip » 2013-12-13, 15:53

Sto imparando da poco il Milanese quindi posso dire (o scrivere se preferite :P ) poche cose ed esprimere pochi concetti. L'è tutt on calcatrappola! (è tutto un casino!). Essendo di Milano, mi sembra strano non conoscere il proprio dialetto, anche se ormai non lo parla più nessuno... peccato :( Comunque ci proverò lo stesso ;) Qua c'è un po' di grammatica che ho trovato su internet:

Vocali:
a = si legge come in italiano (es: circa, savevan)
à = ha una pronuncia nasale (es: Milàn)
aa = forma il participio passato con i verbi della della 1°coniugazione, si legge come la “a” con suono prolungato (es: compraa, faa)
è = si legge aperta. (es: coteletta, cavei), la classica e aperta di noi milanesi :P
e = si legge chiusa. (es: “ben”, “conven”, “pes”)
i = si legge come la i in italiano. Va accentata e pronunciata con suono lungo se seguita dalle consonanti d, l, n, o r (es: decid, robettin, pin), seseguita dalle vocali ha un suono tronco (es: voeuia)
j = sostituisce la gl dell'italiano (es: voeuja).
ji = si legge sempre come la i ma con suono prolungato
u = si usa soltanto vicino a g e q ed ha lo stesso suono di “mur” in francese
o = si legge sempre “u” (soo, sont, offellee)
ó (aperta) - ò (chiusa) = si legge come la o italiana se è aperta, se chiusa si legge u
oeu = come in francese “coeur” (es: oeuv, voeuj)
ô = si legge come una u accentata, ma ha diverse pronunce: in « Sô” ha un suono breve mentre in “resgiô” ha un suono prolungato.

Consonanti:
- Le consonanti doppie si leggono sempre come singole (es: bell, mòll, dònn, cann).
- C e G, senza la «h», hanno un suono dolce se seguite dalle vocali «e» o «i».
- C e G dalla «h» hanno un suono gutturale, duro (es: gh'era, ghe)
- Quando C e G sono precedute da «s»:
SC si legge come la sc in italiano (es: scèna)
S'C - S'G si leggono come s e c quasi come se avesse il suono di uno starnuto, suono che in italiano non esiste (es: s’cena, s’giaff, s’ciòpp).
- B - D si leggono a fine parola come p
- V si elide in mezzo alla parola (scova diventa «scoa»), mentre si legge se posta all’inizio di parola (ven, vinell, avarizia, avemaria, venil, vinc)
- Z = si legge come la s in italiano di "sì" (es: verz, marz)

Nomi:
In Milanese ci sono due generi: maschile e femminile. Per il neutro si usa l'articolo maschile.

Articoli:

Articoli Determinativi:
Maschile: el
Femminile: la
Neutro: el
Plurale per entrambi: i

L'articolo el si trasforma in l' se si mette dopo la vocale, mentre 'l prima della vocale (es: l'òmm, l'ultim, 'l fioeu)
L'articolo la diventa l' se seguita dalla vocale: (es: l'ôngia, l'èrba)
Plurali:
Maschile: El fioeu > I fioeu
Femminile: La tôsa > I tosànn

Articolo indeterminato:
Maschile: on
Femminile: ona
Neutro: on

La "o" si può elidere quando viene preceduto e seguito da vocale: (es: M.: Gh'è 'n òmm
Gh'è 'n odôr. F.:gh'è on'amìsa, gh'è 'na dònna, gh'è 'n'amìsa

Aggettivo Dimostrativo:
Chél ... chì
Stô (... chì)
Chéla ... chì
Sta (... chì)
Chi ... chì
Sti (... chì)

Chél ... lì
Chéla ... lì
Chi ... lì
Chél ... là
Chéla.......là
Chi ... là

Pronomi Personali:


Lu - Lee
El - La
Nunch (Numm)
Vialter
Lôr

Esempi:
Mì parli
Tì te parlet
Lu el parla
Lee la parla
Nunch parlom
Vialter parlii
Lôr i parlen (forma antica)

Nella forma antica per la prima persona singolare si usava "Mì a parli" e per la prima persona plurale "Nunch a parlom" In antico Milanese la forma interrogativa si mettono sempre i pronomi dopo il verbo.
Esempio:
Forma antica: Voeurela ? (Lei vuole ?)
Forma moderna: La voeur ?
Forma antica: Cantel ? (lui canta ?)
Forma moderna: El canta ?

Verbi:

Prima coniugazione verbi regolari terminanti in -à
VARDÀ (guardare)
Indicativo Presente: Mì Vardi, Tì te vardet, Luu el varda, Lee la varda, Nunch a vardom, Vialter vardee, Lor varden
Passato: Mì vardavi, Tì te vardavet, Luu el vardava, Lee la vardava, Nunch vardavom, Vialter vardavov, Lor vardaven
Passato Prossimo: Mì hoo vardaa, Tì t’hee vardaa, Luu Lee l’ha vardaa, Nunch emm vardaa, Vialter avii vardaa, Lor hann vardaa
Imperfetto: Mì avevi vardaa, Tì t’avevet vardaa, Luu Lee aveva vardaa, Nunch avevom vardaa, Vialter avevov vardaa, Lor aveven vardaa
Futuro Semplice: Mì vardaroo, Tì te vardareet, Luu el vardarà, Lee la vardarà, Nunch vardaremm, Vialter vardii, Lor vardarann
Futuro anteriore: Mì avaroo vardaa, Tì l’avaree vardaa, Luu Lee l’avarà vardaa, Nunch avaremm vardaa, Vialter avarii vardaa, Lor avarann vardaa


Seconda coniugazione verbi regolari terminanti in –è
VEDÈ (vedere)
Indicativo Presente: Mì vedi, Tì te vedet, Luu el ved, Lee la ved, Nunch a vedom, Vialter vedii, Lor veden
Passato: Mì vedevi, Tì te vedevet, Luu el vedeva, Lee la vedeva, Nunch vedevom, Vialter vedevov, Lor vedeven
Passato Prossimo: Mì hoo veduu, Tì t’hee veduu, Luu Lee l’ha veduu, Nunch emm veduu, Vialter avii veduu, Lor hann veduu
Imperfetto: Mì avevi veduu, Tì t’avevet veduu, Luu Lee aveva veduu, Nunch avevom veduu, Vialter avevov veduu, Lor aveven veduu
Futuro Semplice: Mì vedaroo, Tì te vedareet, Luu el vedarà, Lee la vedarà, Nunch vedaremm, Vialter vedarii, Lor vedarann
Futuro anteriore: Mì avaroo veduu, Tì l’avaree veduu, Luu Lee l’avarà veduu, Nunch avaremm veduu, Vialter avarii veduu, Lor avarann veduu

Terza coniugazione verbi regolari terminanti in -ì
SENTÌ (sentire)
Indicativo Presente: Mì senti, Tì te sentet, Luu el sent, Lee la sent, Nunch a sentom, Vialter sentii, Lor senten
Passato: Mì sentivi, Tì te sentivet, Luu el sentiva, Lee la sentiva, Nunch sentevom, Vialter sentevov, Lor senteven
Passato Prossimo: Mì hoo sentii, Tì t’hee sentii, Luu Lee l’ha sentii, Nunch emm sentii, Vialter avii sentii, Lor hann sentii
Imperfetto: Mì avevi sentii, Tì t’avevet sentii, Luu Lee aveva sentii, Nunch avevom sentii, Vialter avevov sentii, Lor aveven sentii
Futuro Semplice: Mì sentiroo, Tì te sentieet, Luu el sentirà, Lee la sentirà, Nunch sentiremm, Vialter sentirii, Lor sentirann
Futuro anteriore: Mì avaroo sentii, Tì l’avaree sentii, Luu Lee l’avarà sentii, Nunch avaremm sentii, Vialter avarii sentii, Lor avarann sentii
[Fonte: http://www.milanofree.it/milano/dialett ... anese.html]
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Re: Dialetti

Postby Itikar » 2013-12-19, 11:55

Bravo Jakip! Ottimo lavoro.
Sia per il tuo apprendimento, sia per altri che saranno che leggeranno questo filone interessati al milanese o alla sua colorita letteratura.

Nel novero dei tempi verbali ci sarebbero anche, seppur ormai del tutto desueti e non più usati, un passato remoto riscontrabile nelle opere del Maggi e del Balestrieri (che faceva mì/tì/luu andè e per le restanti persone era uguale al congiuntivo imperfetto) e un tempo trapassato supercomposto che resisteva ancora nell'800.
Magari ti può far comodo sapere che c'erano nell'ottica della storia della lingua. :)

Ciao!
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Re: Dialetti

Postby ~jakip » 2013-12-19, 14:31

Itikar wrote:Bravo Jakip! Ottimo lavoro.
Sia per il tuo apprendimento, sia per altri che saranno che leggeranno questo filone interessati al milanese o alla sua colorita letteratura.

Nel novero dei tempi verbali ci sarebbero anche, seppur ormai del tutto desueti e non più usati, un passato remoto riscontrabile nelle opere del Maggi e del Balestrieri (che faceva mì/tì/luu andè e per le restanti persone era uguale al congiuntivo imperfetto) e un tempo trapassato supercomposto che resisteva ancora nell'800.
Magari ti può far comodo sapere che c'erano nell'ottica della storia della lingua. :)

Ciao!

Ciao Itikar, ti ringrazio in anzitutto per i complimenti ;) Avevo intenzione di mettere anche i verbi essere ed avere ma ho trovato solo quelli dell'antico milanese... Tra poco mi compro dei libri di grammatica milanese e vedrò cosa riuscirò a imparare :) Grazie anche per i suggerimenti! Un saluto!
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IpseDixit

Re: Dialetti

Postby IpseDixit » 2014-01-12, 2:30

Se qualcuno è interessato a un vocabolario del fiorentino :D :

http://digidownload.libero.it/SisMaXXXX ... entino.pdf

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Re: Dialetti

Postby OldBoring » 2014-11-03, 15:49

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IpseDixit

Re: Dialetti

Postby IpseDixit » 2014-11-03, 17:16

lol

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Re: Dialetti

Postby Itikar » 2014-11-22, 13:49

NINNA NANNA FILASTROCCA
DIN DON E LI CAMPANI DA CASTION
Din don
li campani da Castion
li sonava dì e nòt,
par i vif e par i mòrt,
li bùtava sò li pòrte
le sunava forte forte
e li fava n'gràn bordèl,
volta la carta gh'è n'capèl
gh'è n'capèl pien da nisoli
volta la carta gh'è li violi
gh'è li violi ch'à sà da bun
volta la carta gh'è n' limùn
gh'è un limùn in mes ai frùti
volta la carta gh'è di pùti
gh'è di pùti ch'à soga la bala
volta la carta gh'è na cavala
gh'è na cavala cui trocui d'legn
volta la carta gh'è dal fen
gh'è dal fen da dar ai cavai
volta la carta gh'è dù gai
gh'è dù gai cun la grsta roa
volta la carta gh'è na pocia
gh'è na pocia par i nedrìn
fà la nan bèl pùtìn
fà la nana ch'at daghi n' cunfèt
smorsa la lùs ch'andema a lèt !!
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Re: Dialetti

Postby OldBoring » 2014-11-23, 4:07

Carina! :) In che dialetto?

Koko

Re: Dialetti

Postby Koko » 2014-11-23, 4:46

Mi sembra come il parmigiano. Visto che è Itikar, son sicuro d'avere ragione n.n .

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Re: Dialetti

Postby Itikar » 2014-11-23, 10:59

È mantovano, ma non quello del mio paese.
Sembra mantovano rustico però centrale, perché accanto a , nedrín e andema c'è l'articolo/pronome di terza persona femminile plurale li (tranne in un caso in cui compare le). Ci son poi due strani plurali maschili in -ti, fruti e puti, che echeggiano influenza veneta. Penso sia perciò un po' una mescolanza di dialetti mantovani. L'ho trovata infatti su una pagina di FB dedicata al mantovano.

Per chi volesse il parmigiano, poi, or ora facendo quest'analisi, per trovare il significato d'una parola, ho trovato un libro sul dialetto di Busseto. Favorite! :)
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Re: Dialetti

Postby Itikar » 2014-11-28, 18:59

Un populu mittittinc’ a catina
spugghiàtilu
attuppatinc’ a vucca
è ancora libero
levatinc’ u travagghiu
u’ passaportu
a tavola 'unni mangia
u’ lettu unni dormi
è ancora ricco.
Un populu diventa poveru e servu
quannu 'nc’ arrobbanu 'a lingua adduttata d’i patri
è persu pe’ sempi
diventa poveru e servu
cuanno i paroli nun figghianu paroli
e si mangianu intra d’ iddi
mi n’ addugnu uora, mentre accordu a chitarra
du ddialettu ca perdi ‘na corda 'gni iuornu

Ignazio Buttitta.

Traduzione:
Un popolo mettetegli la catena
spogliatelo
tappategli la bocca
è ancora libero
toglietegli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme
è ancora ricco.
Un popolo diventa povero e servo
quando gli rubano la lingua adottata dai padri
è perso per sempre
diventa povero e servo
quando le parole non partoriscono parole
e si mangiano fra loro
me ne accorgo ora, mentre accordo la chitarra
del dialetto, che perde una corda al giorno.
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Re: Dialetti

Postby Itikar » 2014-12-13, 15:02

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Re: Dialetti

Postby Massimiliano B » 2017-02-01, 22:37

Languages and dialects of Italy:

https://www.youtube.com/watch?v=qEEPyE-nR58

iamblu
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Re: Dialetti

Postby iamblu » 2017-04-27, 16:39

Non só nativo, ma parlo el talian (atension: el talian =/= l'italian). El talian 'l è un dialeto del vèneto parlato nel Brasil.


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