Translations/Questions

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lu:ka
Re: Translations/Questions

Postby lu:ka » 2013-09-05, 9:16

hāozigǎnr wrote:Anch'io sono di Roma, anche se solo per uno o due mesi all'anno. :mrgreen:



Beh ... allora in quell'uno o due mesi scrivimi, se vuoi, e ci organizziamo per conoscerci :)

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Re: Translations/Questions

Postby MillMaths » 2013-09-13, 9:46

Cosa vuol dire la frase tutto il mondo è paese? Sembra che non abbia lo stesso senso di “it’s a small world” in inglese, ma non riesco a indicare con precisione la sottile differenza. :hmm:
Last edited by MillMaths on 2013-09-19, 18:51, edited 1 time in total.

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Itikar
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Re: Translations/Questions

Postby Itikar » 2013-09-16, 15:55

Non conosco bene le accezioni dell'espressione inglese, tuttavia "it's a small world" lo tradurrei come "il mondo è piccolo".

"Tutto il mondo è paese" è un'espressione che si usa per sottolineare che in posti lontani e diversi dal punto di vista culturale alla fine alcune cose sono identiche.
In particolare si usa per riferirsi al fatto che alcune cose che paiono tipiche di un paesino si possono ritrovare anche in città, o persino in metropoli lontane.
Per esempio, sia a Borgotaro, sia a Sydney la gente spettegola sugli altri, per cui "tutto il mondo è paese".
Fletto i muscoli e sono nel vuoto!
All corrections are welcome and appreciated.

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Re: Translations/Questions

Postby farana » 2013-09-19, 15:30

Tutto il mondo è paese si potrebbe tradurre come "it's the same everywhere", il concetto è quello :roll:

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Re: Translations/Questions

Postby HorribileVisu » 2013-09-19, 22:33

Se poi mettete insieme quella frase con un altro detto famoso ottenete l'ossimoro tutto il mondo è paese e paese che vai usanza che trovi. Ma l'ossimoro è solo apparente: infatti paese che vai usanza che trovi (every country has its own customs) significa che ogni paese ha i suoi costumi. Quello che è invece uguale in tutti i paesi è la sfera degli istinti umani, per i quali tutto il mondo è paese (it's the same the world over). Come ci insegna il sofista cinico di Emesa Sallustio (n.b.: Sallustio, non Sallusti) vissuto tra il IV e il V secolo, i vizi e le virtù degli uomini sono generati, rispettivamente, da istinti male o bene indirizzati.

Dunque è ragionevole supporre, come osservava Itikar nel suo ragionamento, che tanto gli abitanti di Manhattan quanto quelli di Zonzone o Bagno al Morbo, pur appartenendo a culture differenti, siano animati dai medesimi istinti.

IpseDixit

Re: Translations/Questions

Postby IpseDixit » 2013-09-19, 22:38

Non dimentichiamoci mogli e buoi dei paesi tuoi :)

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Re: Translations/Questions

Postby HorribileVisu » 2013-09-20, 12:28

Giusto. E come lo potremmo poi? Fa' in modo di non vedere una spanna più in là del tuo bove e presto o tardi i bovi altrui ti saranno d'imbarazzo. Siamo ben lontani dalla serena considerazione che tutto il mondo è paese.

E, comunque sia, vai alla fiera, anche a quella dell'est, ti compri un bove economico e una gislong (chaise longue), anche una di seconda mano, metti il bove nel tuo campo a brucare l'erba, ti ci piazzi davanti in contemplazione sulla gislong in un giorno senza nuvole e "Finalmente! Il bove mio che mangia l'erba mia del campo mio del paese mio". Un paradiso? Può darsi, ma solo fino a che "l'erba del vicino è sempre la più verde" (the grass is always greener on the other side) non rannuvola i tuoi cieli sereni. Capite bene, è difficile vivere così.

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Re: Translations/Questions

Postby MillMaths » 2013-10-16, 10:42

Cosa vuol dire l’espressione mannaggia al diavoletto?

La vedo qualche volta ma non riesco ancora a scoprire il suo senso. :noclue:

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Re: Translations/Questions

Postby HorribileVisu » 2013-10-19, 10:45

Nehushtan wrote:Cosa vuol dire l’espressione mannaggia al diavoletto?

La vedo qualche volta ma non riesco ancora a scoprire il suo senso. :noclue:


"Mannaggia", usabile anche da solo con valore interiettivo (mannaggia!), viene dall'antica forma "malanno abbia", che si è evoluta prima in "malann'abbia", poi in "mannabbia" e infine in "mannaggia", perchè le prime tre persone singolari del congiuntivo presente, nella tradizione meridionale, passano da "abbia" a "aggia".

"Malanno" viene dal latino "malus (cattivo) annus (anno/annata)" ma nell'italiano moderno prende quasi sempre l'accezione di "malattia" (p. e. "Fuori fa freddo, non uscire, potresti prenderti un malanno"), oppure anche, più in generale, quella di "disgrazia", "sventura", "calamità".

Ora, sebbene, come visto, "mannaggia" significhi "che io/tu/egli abbia una disgrazia!" e quindi conservi all'interno una forma verbale, ovvero il congiuntivo augurativo "che tu abbia", tale forma verbale non viene più percepita e la parola assume in toto il valore di un sostantivo (noun) il cui significato è proprio "malanno"/"disgrazia". Questo giustifica l'introduzione spontanea della preposizione "a" per indicarne il destinatario, cioè per formare il dativo, per cui "mannaggia a me/te/lui/lei/noi/voi/loro", sarebbe, alla lettera, "Bad luck to me/you/him/her/us/them".

Quanto al congiuntivo augurativo/esortativo in "malanno abbia", esso è impiegabile, in certe circostanze, al posto dell'imperativo di seconda persona singolare e plurale (abbi! abbiate!) e ne prende il posto in tutte le altre persone dove l'imperativo è mancante. In altre parole:

che io abbia
che tu abbia (=> imperativo: abbi!)
che egli abbia
che noi abbiamo
che voi abbiate (=> imperativo: abbiate!)
che essi abbiano

A titolo di esempio, l'espressione "mannaggia a te", ma tenendo conto questa volta del congiuntivo augurativo contenuto in "mannaggia", equivale all'augurio "che tu abbia un malanno!" che può essere indirettamente espresso da "vorrei che tu avessi un malanno", letteralmente "I wish [that] you had bad luck".

Come nota a margine, il congiuntivo esortativo/imperativo potrebbe essere alquanto inusitato in inglese, ma ne esiste un esempio eclatante nella preghiera "Our Father" (alla seconda e terza riga sotto, in grassetto rosso) dove coesiste con l'imperativo di seconda persona altrove usato tutte le volte che l'augurio si trasforma in comando diretto alla divinità (p.e. "Give us this day our daily bread).

Our Father, Who art in heaven
Hallowed be Thy Name;
Thy kingdom come,
Thy will be done,
on earth as it is in heaven.
Give us this day our daily bread,
and forgive us our trespasses,
as we forgive those who trespass against us;
and lead us not into temptation,
but deliver us from evil. Amen.

L'espressione "mannaggia al diavoletto" è del tutto personale. Di questo tipo di imprecazioni e esclamazioni ne esiste una varietà infinita poiché ognuno se le inventa adattandole ai propri bisogni e le modifica a seconda delle circostanze. In questo caso il destinatario del malanno è il diavolo stesso, che però viene evocato in maniera gentile (non si sa mai) usando la forma diminutiva-vezzeggiativa in "etto/a". Quindi il significato è "Bad luck to the little, nice Devil". Sostanzialmente questa imprecazione equivale all'espressione di un disappunto molto, molto modesto. Del resto, per quanto "mannaggia" sia effettivamente un augurio di sventura, in pratica non viene avvertito come tale, e resta nei limiti di una manifestazione di disappunto che salta fuori in occasione di piccoli incidenti o contrarietà.

Nella Toscana del sud "Mannaggia!" viene usato ad ogni pie' sospinto, quasi sempre da solo, cioè senza un destinatario. E a proposito di piedi, se vi si appiccica un chewing gum sotto la suola di una scarpa in un giorno di solleone, il vostro "Mannaggia!" non è niente di più né di peggio che "Damn!".

HorribileVisu

-

lu:ka

Re: Translations/Questions

Postby lu:ka » 2013-10-23, 6:48

HorribileVisu wrote:
Nehushtan wrote:Cosa vuol dire l’espressione mannaggia al diavoletto?

La vedo qualche volta ma non riesco ancora a scoprire il suo senso. :noclue:


"Mannaggia", usabile anche da solo con valore interiettivo (mannaggia!), viene dall'antica forma "malanno abbia", che si è evoluta prima in "malann'abbia", poi in "mannabbia" e infine in "mannaggia", perchè le prime tre persone singolari del congiuntivo presente, nella tradizione meridionale, passano da "abbia" a "aggia".

"Malanno" viene dal latino "malus (cattivo) annus (anno/annata)" ma nell'italiano moderno prende quasi sempre l'accezione di "malattia" (p. e. "Fuori fa freddo, non uscire, potresti prenderti un malanno"), oppure anche, più in generale, quella di "disgrazia", "sventura", "calamità".

Ora, sebbene, come visto, "mannaggia" significhi "che io/tu/egli abbia una disgrazia!" e quindi conservi all'interno una forma verbale, ovvero il congiuntivo augurativo "che tu abbia", tale forma verbale non viene più percepita e la parola assume in toto il valore di un sostantivo (noun) il cui significato è proprio "malanno"/"disgrazia". Questo giustifica l'introduzione spontanea della preposizione "a" per indicarne il destinatario, cioè per formare il dativo, per cui "mannaggia a me/te/lui/lei/noi/voi/loro", sarebbe, alla lettera, "Bad luck to me/you/him/her/us/them".

Quanto al congiuntivo augurativo/esortativo in "malanno abbia", esso è impiegabile, in certe circostanze, al posto dell'imperativo di seconda persona singolare e plurale (abbi! abbiate!) e ne prende il posto in tutte le altre persone dove l'imperativo è mancante. In altre parole:

che io abbia
che tu abbia (=> imperativo: abbi!)
che egli abbia
che noi abbiamo
che voi abbiate (=> imperativo: abbiate!)
che essi abbiano

A titolo di esempio, l'espressione "mannaggia a te", ma tenendo conto questa volta del congiuntivo augurativo contenuto in "mannaggia", equivale all'augurio "che tu abbia un malanno!" che può essere indirettamente espresso da "vorrei che tu avessi un malanno", letteralmente "I wish [that] you had bad luck".

Come nota a margine, il congiuntivo esortativo/imperativo potrebbe essere alquanto inusitato in inglese, ma ne esiste un esempio eclatante nella preghiera "Our Father" (alla seconda e terza riga sotto, in grassetto rosso) dove coesiste con l'imperativo di seconda persona altrove usato tutte le volte che l'augurio si trasforma in comando diretto alla divinità (p.e. "Give us this day our daily bread).

Our Father, Who art in heaven
Hallowed be Thy Name;
Thy kingdom come,
Thy will be done,
on earth as it is in heaven.
Give us this day our daily bread,
and forgive us our trespasses,
as we forgive those who trespass against us;
and lead us not into temptation,
but deliver us from evil. Amen.

L'espressione "mannaggia al diavoletto" è del tutto personale. Di questo tipo di imprecazioni e esclamazioni ne esiste una varietà infinita poiché ognuno se le inventa adattandole ai propri bisogni e le modifica a seconda delle circostanze. In questo caso il destinatario del malanno è il diavolo stesso, che però viene evocato in maniera gentile (non si sa mai) usando la forma diminutiva-vezzeggiativa in "etto/a". Quindi il significato è "Bad luck to the little, nice Devil". Sostanzialmente questa imprecazione equivale all'espressione di un disappunto molto, molto modesto. Del resto, per quanto "mannaggia" sia effettivamente un augurio di sventura, in pratica non viene avvertito come tale, e resta nei limiti di una manifestazione di disappunto che salta fuori in occasione di piccoli incidenti o contrarietà.

Nella Toscana del sud "Mannaggia!" viene usato ad ogni pie' sospinto, quasi sempre da solo, cioè senza un destinatario. E a proposito di piedi, se vi si appiccica un chewing gum sotto la suola di una scarpa in un giorno di solleone, il vostro "Mannaggia!" non è niente di più né di peggio che "Damn!".

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Aggiungo, come nota regionale, che qui a Roma la forma "mannaggia al diavoletto" è usata per lo più nel dialogo con i bambini o tra bambini. Ad esempio se mio nipote cadendo si fa male alle manine potrei dirgli: "Mannaggia al diavoletto! Fammi vedere che cosa ti sei fatto" l'uso del vezzeggiativo in questo caso è dovuto al non voler intimorire il bimbo e al minimizzare la gravità dell'accaduto.
Una filastrocca che usavamo da bambini per fare la pace dopo un litigio recitava: "Mannaggia al diavoletto che c'ha fatto litiga'..." (litiga' = forma tronca di litigare, questo tipo di troncamento sui verbi all'infinito è molto frequente nella parlata dialettale di Roma).

IpseDixit

Re: Translations/Questions

Postby IpseDixit » 2013-10-26, 8:10

Aggiungo, come nota regionale, che qui a Roma la forma "mannaggia al diavoletto" è usata per lo più nel dialogo con i bambini o tra bambini. Ad esempio se mio nipote cadendo si fa male alle manine potrei dirgli: "Mannaggia al diavoletto! Fammi vedere che cosa ti sei fatto" l'uso del vezzeggiativo in questo caso è dovuto al non voler intimorire il bimbo e al minimizzare la gravità dell'accaduto.
Una filastrocca che usavamo da bambini per fare la pace dopo un litigio recitava: "Mannaggia al diavoletto che c'ha fatto litiga'..." (litiga' = forma tronca di litigare, questo tipo di troncamento sui verbi all'infinito è molto frequente nella parlata dialettale di Roma).


Idem qui. L'unica differenza è che diciamo litigare.

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Re: Translations/Questions

Postby HorribileVisu » 2013-10-29, 13:56

"Mannaggia" non ha mai goduto di una popolarità particolare qui a Firenze, pur non essendo impossibile imbattercisi di tanto in tanto. Può capitare di sentirlo usato da solo, oppure, un po' meno frequentemente, nell'espressione Mannaggia la miseria!, dove l'omissione della preposizione "a" (che cioè non è "Mannaggia alla miseria!") potrebbe far pensare che il parlante sia consapevole che la parola è composta dal complemento oggetto "malanno" seguito dal congiuntivo augurativo "abbia": "Male/malanno (direct object) abbia la miseria!". Io sono convinto però che la preposizione venga omessa solo per sbarazzarsi dello iato "mannaggia alla". L'espressione più in voga è tuttavia Porca miseria! in cui l'augurio di sventura "malanno abbia" viene sostituito da "porco/a" usato in funzione di aggettivo con valenza dispregiativa, aggettivo che continua a far la parte del leone su tutto il territorio italiano.

Neanche il diavolo ha molta fortuna a Firenze, eccetto qualche eccentrico Porco diavolo!, e men che meno in circostanze come quella citata da lu:ka in cui un bimbo si fa male a una mano. Il disappunto espresso da "Mannaggia al diavoletto! Fammi vedere che cosa ti sei fatto" probabilmente susciterebbe reazioni di volta in volta diverse a seconda del carattere dell'adulto che cerca di consolare il bambino, per esempio: "Oh poverino! Accidempoli! Fammi vedere che cosa ti sei fatto". Qui l'accidempoli, forma ingentilita di accidenti, svolge un ruolo di ammortizzatore equivalente a diavoletto. Naturalmente da un punto vista analitico i due ruoli differiscono, perchè il diavoletto è il destinatario della forma augurativa "mannaggia", mentre l'"accidempoli" è proprio l'equivalente di quest'ultima.

Altre volte l'accidempoli, o direttamente l'accidenti, vengono fatti seguire dal dativo di destinazione dell'oggetto che è stato causa dell'incidente. Tale oggetto viene preferibilmente assegnato ad una categoria d'appartenenza la più generale possibile per mezzo di un aggettivo o una locuzione atti ad accrescere la forza dell'enunciato. Per esempio se quel bimbo si facesse male giocando con la bicicletta, il sostantivo "bicicletta", declinato al vezzeggiativo plurale e preceduto dall'aggettivo "tutte" diventerebbe il destinatario degli "accidenti", dando così luogo a "Accidempoli a tutte le biciclettine!", ma talvolta anche all'affettuosissimo "Accidempoli a tutte le biciclettine del mondo!", con ciò restando dimostrata, per definizione, l'identità tra accidempoli/accidenti a e mannaggia a, nella quale "mannaggia" sia visto come un semplice sostantivo.

Di espressioni di disappunto frutto della fantasia o di chissà quali ricordi ed elaborazioni personali ne esistono in gran copia. Per esempio una mia conoscente soleva sbottare in Maledetto il cancellino! (in fiorentino: maledett'i'ccancellino). Si riferiva proprio a un cancellino? E se sì, perché? Forse che un cancellino sgangherato aveva lasciato che un ladro le penetrasse in casa? O è che in passato le si era rovesciata una boccetta di cancellino liquido su un assegno al portatore da 100000 euro pronto per l'incasso? Non gliel'ho mai chiesto.

Sul litigare: io, che mi sforzo di parlare nel modo più Horribile possibile, sento che vado più d'accordo col buon vecchio leticare che col gessato litigare, dove il primo è la variante toscana del secondo. Toscana sì, ma, in quanto riportata nel Devoto-Oli, chissà, forse non del tutto sconosciuta altrove. Come con altri verbi quali stare, dire, fare, e, ma sì, mettiamoci pure essere, così anche con leticare il troncamento dell'infinito mi viene più naturale, oltretutto perché, al contrario di litigare, questo verbo mi offre su un piatto d'argento un'ottima "c" aspirabile, diventando dunque letia' [1].

Certo è però che il troncamento non è un tratto distintivo del vernacolo fiorentino come lo è di quello romano, dove marca la posizione del nucleo tonico all'interno del gruppo, che è la posizione in cui si trova il punto focale dell'informazione. Massimamente questo accade quando il troncamento conclude il rema che a sua volta è spostato al termine del periodo. Vederne i simpatici effetti in Sordi, Manfredi, Proietti, Montesano et al.

Per aspera ad astra,
HorribileVisu

-
[1]
In deroga alla regola che l'h non ha suono, alcuni preferiscono scrivere letiha' optando per la convenzione anglosassone.

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Re: Translations/Questions

Postby Shad » 2013-11-16, 3:43

Ciao a tutti!

Ok, this friend of mine is driving me crazy. He asked me "How can I answer to this question? : Quanti cucchiai di zucchero usi per fare la torta?" and I replied "ne uso 5" and then he asked me how to answer to "con quanti cucchiai di zuccchero fai la torta?" and the obvious answer is "con", right? But he wants to know just why. Why not the partitive in that case.

I even feel silly for posting this here. Anyone cares to give my friend a simple, yet satisfactory answer?

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Re: Translations/Questions

Postby HorribileVisu » 2013-11-17, 16:38

shprakh wrote:Ciao a tutti!

Ok, this friend of mine is driving me crazy. He asked me "How can I answer to this question? : Quanti cucchiai di zucchero usi per fare la torta?" and I replied "ne uso 5" and then he asked me how to answer to "con quanti cucchiai di zuccchero fai la torta?" and the obvious answer is "con", right? But he wants to know just why. Why not the partitive in that case.

I even feel silly for posting this here. Anyone cares to give my friend a simple, yet satisfactory answer?

Sorry, I don't have a simple answer, it's not a silly question. Here's what I know. When the pronoun "ne" is used as a partitive pronoun, it replaces the noun of an object whose quantity is being declared as part of a whole:

"Quanti cucchiai di zucchero usi per fare la torta?"
"Ne uso cinque"

In the above sentence, the "ne" was used in place of "cucchiai" (spoonfuls):
"Uso cinque cucchiai (ne)"

As you can see from the latter sentence, in spite of the fact that "ne uso cinque" is understood/sensed as "I use five of them/those (ne)", i.e. it is sensed as the indirect object form of them, all grammars point out that the pronoun "ne" takes the grammatical value of a direct object in partitive constructions like this, being its use deictic here - i.e. it indicates an object physically present in the context (as opposed to the other use of "ne", the so said "anaphoric" one).

So, to have your question answered, you simply need to consider that the use of the pronoun "ne" as a partitive is to be restricted to sentences where it appears, from a grammatical point of view, as the direct object of a transitive verb. As an indirect proof of this, any adjective and/or past participle must agree in gender and number with the noun replaced by "ne". For example:

"Si dice che tu abbia mangiato 12 pizze di seguito"
"No, ne ho mangiate molte di più" (which is equivalent to: "No, ho mangiato molte pizze [=>ne, partitive logical direct object] di più")

Again, the "ne" plays the logical role of the direct object "pizze" in this sentence, and, since the noun "pizze" is feminine plural, the past participle "mangiate" and the adjective "molte" were put in agreement with it as such. [1]

As for your friend's question, if you decided to reply "Con cinque (sugar spoonfuls)", which is correct, any chance of using the partitive "ne" would vanish, in so far as you wouldn't anymore have a verb to take charge of it as a direct object (and neither indirect, anyway). The preposition "con (with)" can only take it as an indirect object by forming a preposition-noun phrase (called "complemento di mezzo", according to our terminology). So, any attempt to accommodate a "ne" in this sentence will fail. It's not easy for me to figure out what your friend was having in mind. Something like "Con ne cinque", perhaps? This is an impossible construction, because this "ne" would be depending upon a preposition instead of a verb, with the result of having an odd mishmash of different things. In the case, you could explicitly refer to the spoonfuls by the pronoun "essi":

"Con cinque di essi (cucchiai di zucchero)"

i.e., lit.: "With five of them (sugar spoonfuls)". But an answer of this kind, although not grammatically incorrect, sounds quite awkward, as there's absolutely no need to specify "di essi" in a context like this.

HorribileVisu

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[1]
it might be worth noting that, in other cases, e.g. when the "ne" is used in a complemento di specificazione or d'argomento, the past participle of compound tenses does not have to agree with the noun. This means that the "ne" does not have the value of a direct object, and consequently, although still to be considered a pronoun, is not a partitive one. For example:

- Complemento di specificazione

"Ho letto i tuoi libri e ne ho fatto un riassunto" (I read your books and made a summary of them).
The past participle "fatto" is not in agreement with "libri" (masculine plural), hence the "ne" is not a partitive pronoun and, finally, it does not work as a direct object.

- Complemento di argomento

"So già di Maria e Carlo. Luigi me ne ha parlato" (I already know about Maria and Carlo. Luigi told me about them).
The past participle "parlato" is not in agreement with the plurality of the names it refers to (Maria e Carlo), so, also in this case, the "ne" is not a partitive pronoun and does not work as a direct object.

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Re: Translations/Questions

Postby MillMaths » 2014-02-03, 20:07

Cosa significa l’espressione ma parla come mangi? :noclue:

lu:ka

Re: Translations/Questions

Postby lu:ka » 2014-02-04, 11:09

Si usa per dire a qualcuno di parlare in modo semplice senza parole altisonanti e difficili.

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Re: Translations/Questions

Postby MillMaths » 2014-02-18, 16:01

Grazie lu:ka. :)

E come si traduce “all seven of us” in italiano? “Tutti noi siete”? “Noi siete tutti”? “Tutti siete di noi”? O …? :noclue:

IpseDixit

Re: Translations/Questions

Postby IpseDixit » 2014-02-18, 16:05

Nehushtan wrote:Grazie lu:ka. :)

E come si traduce “all seven of us” in italiano? “Tutti noi siete”? “Noi siete tutti”? “Tutti siete di noi”? O …? :noclue:


Tutti e sette. :) (no, it doesn't mean all and seven as you may think).

Seven is sette. Siete means you are.

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Re: Translations/Questions

Postby MillMaths » 2014-02-18, 16:21

Tante grazie per la prontissima risposta! :praise:

IpseDixit wrote:Seven is sette. Siete means you are.
Ops! Pensavo in spagnolo. :oops:

lu:ka

Re: Translations/Questions

Postby lu:ka » 2014-02-18, 18:56

Tutti e sette. :) (no, it doesn't mean all and seven as you may think).

Seven is sette. Siete means you are.[/quote]

Solo una precisazione: Tutti e sette può tradurre naturalmente anceh "all seven of you" e "all seven of them".


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